Con l’entrata in vigore del Regolamento di esecuzione UE n. 1197/2025 (“Regolamento”) lo scorso 30 giugno, l’Unione Europea ha introdotto significative restrizioni alla partecipazione di operatori economici cinesi e all’importazione di dispositivi medici dalla Cina. Questa mossa rappresenta una reazione da parte della Commissione Europea, in risposta alle limitazioni poste dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC) all’accesso delle aziende europee al proprio mercato degli appalti pubblici dei dispositivi medici. Per le aziende produttrici o distributrici di dispositivi medici dell’Unione è fondamentale comprendere appieno le implicazioni di questa nuova normativa.
Il contesto e le ragioni della stretta
Le restrizioni attuate dal Regolamento UE 1197/2025 si basano sul regolamento quadro UE 2022/1031, noto come International Procurement Instrument (IPI). Questo strumento consente alla Commissione di limitare l’accesso ai mercati degli appalti pubblici dell’UE per operatori economici, beni e servizi provenienti da paesi terzi.
La decisione dell’UE è il risultato di un’indagine approfondita che ha svelato una serie di pratiche restrittive poste in essere dalla RPC. Tra queste, si evidenzia la preferenza data ai servizi e ai dispositivi medici di produzione cinese, la limitazione degli appalti per beni importati e l’imposizione di condizioni che favoriscono offerte a prezzi insostenibilmente bassi per le aziende non cinesi. L’indagine ha rilevato che queste pratiche sono diffuse in tutta la Cina, arrivando a vietare, esplicitamente o implicitamente, l’acquisto di dispositivi medici di origine straniera in circa l’87% delle gare d’appalto. Questo sistema ha di fatto precluso il mercato cinese degli appalti pubblici agli operatori europei, portando la Commissione a intervenire.
Cosa cambia per gli operatori europei?
Le nuove misure si applicano agli operatori economici considerati “originari” della Cina. Un’azienda rientra in questa categoria se è costituita o se svolge la sua attività commerciale sostanziale nella RPC; se il Paese di costituzione non coincide con il luogo dell’attività, rileva l’origine di chi esercita ‘influenza dominante’ sull’azienda.
La normativa prevede l’esclusione dalle procedure di appalto pubblico per dispositivi medici nell’UE delle offerte presentate da questi operatori. Questa esclusione si applica alle gare di valore pari o superiore a 5.000.000 € (IVA esclusa) e aventi ad oggetto l’acquisto di dispositivi medici che rientrano nei codici CPV da 33100000-1 a 33199000-1, dispositivi che rappresentano una parte molto significativa delle forniture del settore medical devices nel territorio europeo.
Tuttavia, il Regolamento non colpisce solo gli operatori cinesi. L’articolo 8 del regolamento IPI (reg. UE n. 2022/1031), richiamato espressamente dal Regolamento, stabilisce che i vincitori di un appalto (non originari della RPC) devono garantire che la percentuale di dispositivi medici di origine cinese non superi il 50% del valore totale del contratto.
Questa previsione pone sicuramente alle aziende dell’UE il tema di avere effettiva contezza della propria filiera, al fine di escludere – sempre se si vuole partecipare alle procedure di gara oggetto della misura di cui si tratta – la presenza di un originario produttore cinese.
Quanto alla definizione di dispositivo “originario della RPC”, il Regolamento richiama il regolamento (UE) n. 952/2013 (“Codice doganale dell’Unione”), il quale prevede che “le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio”, mentre “le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.
Pertanto, anche le aziende che, pur producendo in Italia o in altro paese dell’Unione europea, assemblino componentistica di origine cinese, dovranno porsi il problema verificare con attenzione quale sia l’effettivo luogo di origine del prodotto, valutando la qualificazione del proprio dispositivo (e soprattutto del dispositivo offerto dai propri competitor nella gara) come un “prodotto nuovo” o l’importanza della fase di fabbricazione svolta nella propria azienda (verifiche comunque utili anche per appalti di importo inferiore ai 5.000.000 €, per le ricadute dell’art. 170 del Codice dei contratti pubblici).
Per le aziende, diventa quindi cruciale essere preparati in quanto le stazioni appaltanti potranno (rectius dovranno) richiedere documentazione per verificare l’origine dei prodotti e degli operatori. La mancata tempestiva risposta a tali richieste potrebbe condurre all’esclusione dalla procedura.
Un’opportunità per il mercato europeo?
La misura potrebbe generare un effetto leva positivo per i produttori e i distributori europei, offrendo loro l’opportunità di conquistare quote di mercato precedentemente detenute dalle importazioni cinesi. Nelle premesse del Regolamento si stima che questo potrebbe portare a un incremento di 1-1,2 miliardi di euro nel valore delle vendite per le aziende non cinesi e persino alla creazione di oltre 3.000 nuovi posti di lavoro nell’UE.
Per le aziende che importano dalla Cina, la partecipazione al mercato degli appalti resta comunque ancora possibile, purché rispettino il limite del 50% sul valore della fornitura.
In sintesi, il nuovo Regolamento UE 1197/2025 non è solo una misura restrittiva, ma un segnale forte dell’UE a difesa del proprio mercato. Per le aziende del settore, diventa fondamentale una navigazione consapevole e strategica del nuovo quadro normativo, trasformando le sfide in opportunità.
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Matteo è Partner del dipartimento di Diritto Amministrativo. Fornisce assistenza a Enti pubblici e privati, sia di natura giudiziale che stragiudiziale.
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